Cellule staminali umane da embrioni e da organismi adulti (R. Colombo)

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Le nuove frontiere dei trapianti Cellule staminali umane da embrioni e da organismi adulti  I – Aspetti scientifici e clinici              Una prospettiva nuova, di ampio respiro, si í¨ aperta nel campo degli innesti di tessuto in pazienti affetti da gravi malattie metaboliche, neurologiche, muscolari, cardiovascolari, neoplastiche ed altre ancora, ed í¨ legata …

Le nuove frontiere dei trapianti

Cellule staminali umane da embrioni e da organismi adulti

 I – Aspetti scientifici e clinici

             Una prospettiva nuova, di ampio respiro, si í¨ aperta nel campo degli innesti di tessuto in pazienti affetti da gravi malattie metaboliche, neurologiche, muscolari, cardiovascolari, neoplastiche ed altre ancora, ed í¨ legata alla possibilití  di far crescere in laboratorio il materiale biologico necessario (cellule differenziate e tessuti) a partire da linee isolate di cellule multipotenti (cellule staminali, SC) coltivate su appositi substrati fisiologici. Tali cellule non specializzate hanno infatti la proprietí  di autorinnovarsi in coltura (conservando la loro potenzialití  replicativa ed epigenetica) e di differenziarsi a certe condizioni, dando origine ai tipi cellulari che compongono tessuti e organi. Si spera cosí¬ di poter ottenere, ad esempio, dei neuroni (cellule del sistema nervoso) per sostituire o integrare quelli degenerati e non pií¹ funzionali nei pazienti colpiti da morbo di Parkinson, malattia di Alzheimer, sclerosi multipla, ischemia o lesione spinale; oppure le cellule b delle isole pancreatiche del Langherans, in grado di secernere insulina una volta innestate in pazienti affetti da diabete mellito di tipo I (IDDM, diabete mellito insulino-dipendente); ed ancora cellule ematiche, del muscolo, della cartilagine, del tessuto osseo e dell”™epidermide, ma anche del fegato e della retina: in questi casi le applicazioni andrebbero dalle malattie del sangue alla osteoartrite, dalla osteoporosi alle ustioni, e potrebbero riguardare anche la cirrosi epatica e la degenerazione maculare dell”™occhio. Questi ed altri affascinanti traguardi per la chirurgia dei trapianti alimentano nuove speranze per i pazienti ed i loro familiari, soprattutto nel caso di malattie che oggi non vedono una strategia terapeutica risolutiva.

Compiuti gli studi preliminari sull”™animale di laboratorio, la ricerca biomedica che persegue questi obiettivi necessita ora di disporre di adeguate quantití  di cellule staminali umane da coltivare, analizzare sotto il profilo dell”™espressione genica e della biochimica cellulare, e sottoporre a stimolazione da parte di condizioni ambientali, fattori di crescita e altre molecole in grado di orientarne la differenziazione nella direzione epigenetica prevista o desiderata: quel particolare fenotipo cellulare che servirí  per l”™innesto sul paziente e forse un giorno anche per l”™organogenesi parziale o totale. Le sorgenti di cellule staminali umane sinora identificate sono: (1) la massa cellulare interna dell”™embrione allo stadio di blastocisti (circa 5 giorni dopo la fertilizzazione, quando il numero di cellule dell”™embrione í¨ pari a 150-200, e sono distinguibili in embrioblasto e trofoblasto); (2) i tessuti embrionali (dopo l”™impianto nell”™endometrio, dalla quarta settimana di sviluppo: cellule germinali primordiali del sacco vitellino) e fetali, tra i quali quelli del fegato, del midollo osseo e del cervello, che sono ricchi di cellule staminali; (3) il sangue contenuto nel cordone ombelicale, che ancora lega la circolazione portale del neonato alla placenta durante il parto; e (4) alcuni tessuti presenti nel corpo dell”™adulto, compreso lo stesso sangue periferico.

Sin qui le possibilití  per ottenere cellule staminali umane “naturali”, cioí¨ reperibili in organismi non geneticamente manipolati e neppure esse stesse sottoposte a modificazioni di tipo genomico, ma semplicemente prelevate e coltivate in vitro. Un altro aspetto della stessa ricerca ““ legato alla prospettiva degli alloinnesti ““ potrebbe invece riguardare l”™ottenimento di cellule staminali aventi patrimonio genetico preordinato (ad esempio, identico a quello del paziente sul quale verrí  effettuato l”™innesto, nel caso tali cellule non fossero prelevabili dal suo corpo) o modificato (reprimendo l”™espressione di antigeni in grado di scatenare nel paziente una reazione di rigetto dell”™innesto; oppure inducendo l”™espressione di proteine bersaglio, in grado di consentire la distruzione selettiva delle cellule del tessuto eterologo innestato qualora si verificasse una proliferazione incontrollata di tipo neoplastico). Nel primo caso ““ ottenibile solo attraverso le cellule staminali embrionali (ESC) ““ í¨ stato ipotizzato il ricorso alla clonazione per sostituzione di nucleo (metodologia simile a quella dell”™esperimento scozzese sulla pecora Dolly, gií  applicata anche a bovini, capre, maiali e topi), che potrebbe generare un embrione da un oocita enucleato di donatrice e dal nucleo di una cellula somatica del paziente stesso. Il secondo caso puí² essere applicato anche a cellule staminali di origine non embrionale, come quelle ottenute dal sangue del cordone ombelicale o da tessuti di organismi adulti, in quanto non comporta la sostituzione dell”™intero patrimonio genetico nucleare e la sua riprogrammazione epigenetica (che solo i fattori contenuti nell”™oocita materno sembra siano in grado di far avvenire), ma si limita ad un intervento genomico assai contenuto e mirato, simile a quello della terapia genica somatica.

Larga eco tra i ricercatori e i medici, non meno che nella pubblica opinione e sui mezzi di comunicazione sociale, ha suscitato la notizia della autorizzazione, in alcuni paesi, della ricerca sperimentale sulle cellule staminali isolate da embrioni umani giacenti sotto azoto liquido (crioconservazione frequentemente connessa alle tecniche di fecondazione in vitro), oppure generati intenzionalmente da oociti e spermatozoi donati per la ricerca. In talune circostanze non í¨ stata neppure esclusa la possibilití  di produrre embrioni umani destinati a questo scopo mediante trasferimento di nucleo cellulare (clonazione). L”™origine ed il destino di questi embrioni ““ congiuntamente alle deboli argomentazioni volte a sostenere l”™insistente domanda da parte dei ricercatori di poter accedere alla sperimentazione su di loro, ed alle opportunistiche giustificazioni addotte dai responsabili delle politiche di ricerca nell”™autorizzarle ““ non cessano di alimentare sconcerto e viva preoccupazione tra quanti hanno a cuore la vita e la dignití  dell”™uomo, non meno che il progresso della scienza e la cura delle malattie. Da dichiarazioni rese pubbliche sembra inoltre trasparire una dimensione di priorití  scientifica e biotecnologica attribuita alla manipolazione dell”™embrione umano quale fonte delle preziose cellule staminali necessarie alla ricerca in vitro e alle prime sperimentazioni terapeutiche, urgenza che pretenderebbe di giustificare al presente il ricorso ad embrioni gií  conservati o da generare appositamente, pur non escludendo per il futuro l”™impiego di cellule staminali non embrionali.

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  Nel suo discorso al XVIII International Congress of the Transplantation Society (Roma, 29 agosto 2000), il Santo Padre ha dichiarato che “la scienza lascia intravedere altre vie di intervento terapeutico che non comportano né la clonazione né il prelievo di cellule embrionali, bastando a tale scopo l”™utilizzazione di cellule staminali prelevabili in organismi adulti. Su queste vie dovrí  avanzare la ricerca, se vuole essere rispettosa della dignití  di ogni essere umano, anche allo stadio embrionale”. (L”™Osservatore Romano, 30.08.2000, p. 1). L”™affermazione non ha solo la valenza di un richiamo antropologico all”™altissima dignití  individuale di cui gode l”™essere umano sin dal suo concepimento, e di una esplicitazione della conseguente esigenza morale di rispetto e cura premurosa della vita embrionale dell”™uomo, vita, quest”™ultima, che non puí² mai essere strumentalizzata per qualsivoglia fine o utilití . In continuití  con il precedente Magistero, questo richiamo ha attraversato tutto l”™insegnamento di Giovanni Paolo II, e si í¨ espresso in forma pií¹ sistematica e compiuta nell”™enciclica Evangelium vitae, che al n. 60 rende ragione biologica, antropologica ed etica del “rispetto incondizionato che í¨ moralmente dovuto” all”™embrione umano. Ma oltre a questa valenza, e coerentemente ad essa, il Santo Padre ha anche indicato con precisione una linea di ricerca positiva nel campo delle cellule staminali e del loro impiego nella terapia dei trapianti: la possibilití  di “utilizzare cellule staminali prelevabili in organismi adulti” anziché ricorrere a quelle embrionali. La stessa prospettiva scientifica ed etica si trova enunciata nella dichiarazione della Pontificia Academia pro Vita su “La produzione e l”™uso scientifico e terapeutico delle cellule staminali embrionali umane” (L”™Osservatore Romano, 25.08.2000, p. 6).

L”™indicazione operativa ha trovato favorevole accoglienza negli ambienti scientifici e della clinica chirurgica dei trapianti, e generosa disponibilití  a proseguire le ricerche nella linea prospettata dal Santo Padre. Non sono tuttavia mancate alcune voci che hanno sollevato dubbi e perplessití  circa la convenienza di abbandonare la promettente ricerca sulle cellule staminali embrionali in favore di quella sulle cellule non embrionali, le quali ““ a detta di costoro ““ non offrirebbero tutta la plasticití  epigenetica (multipotenzialití  di sviluppo) che oggi í¨ riconosciuta alle prime. Pur non escludendo che gli stessi risultati possano un giorno essere ottenuti a partire dalle cellule staminali di organismi adulti o del sangue ombelicale, viene perí² avanzata la richiesta di poter acquisire sin da ora, in modo diretto e rapido, le necessarie conoscenze, studiando le pií¹ facilmente accessibili e meglio conosciute cellule staminali embrionali.

A ben vedere, la letteratura biologica pií¹ recente e il dibattito in corso tra gli addetti ai lavori di ricerca (nonché alcuni documenti di commissioni di esperti istituite dai governi) mettono in luce che, se quanto sopra riportato poteva trovare una sua motivazione scientifica qualche tempo addietro, oggi le osservazioni in nostro possesso aggiungono evidenza a evidenza che alcune cellule staminali isolate da tessuti differenziati del feto e dell”™adulto possono essere coltivate in vitro, espanse in una linea cellulare stabile e autorinnovantesi, e indotte a differenziarsi anche in fenotipi cellulari diversi da quello del tessuto di provenienza. La sorprendente flessibilití  di cui queste cellule sono dotate conforta la ragionevolezza scientifica delle parole di Giovanni Paolo II, e rende la prospettiva in esse indicata non solo pienamente rispondente alle esigenze antropologiche e morali della ricerca biomedica sull”™uomo, ma anche realmente percorribile in termini di procedura empirica di ricerca ed aperta a risultati equivalenti a quelli ipotizzati nella scelta alternativa.

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Nel documento Donaldson (Stem Cell Research: Medical Progress with Responsibility, Department of Health: London, 2000) gli esperti britannici avevano gií  messo in luce la possibilití  che, “a lungo termine, la prospettiva offerta dalle cellule staminali derivate da tessuti di adulti sia uguale o anche superiore a quella delle cellule staminali embrionali” (p. 19). Peraltro, gií  da diversi anni cellule multipotenti di tipo staminale, prelevate dal midollo osseo o dal sangue periferico di donatori adulti, trovano impiego clinico nel trattamento della leucemia acuta e cronica, linfomi, mielomi e mielodisplasie, e di alcune malattie metaboliche monogeniche (emoglobinopatie, immunodeficienze congenite, malattie lisosomiali, anemia di Fanconi). Tuttavia ““ come hanno ricordato la dichiarazione della Pontificia Academia pro Vita e lo stesso documento Donaldson ““ sono le pií¹ recenti ricerche sull”™animale di laboratorio a indicare che, ad esempio, “una cellula staminale neurale adulta possiede un”™ampia capacití  di sviluppo e puí² potenzialmente essere usata per generare una varietí  di tipi cellulari adatti al trapianto in differenti malattie” (D. L. Clarke et al., Science 2000, 288: 1660-1663, p. 1660). Non solo “questi studi suggeriscono che le cellule staminali in differenti tessuti adulti possono essere molto pií¹ simili di quanto sinora pensato alle cellule staminali embrionali, e forse possiedono un repertorio epigenetico che si avvicina a quello delle embrionali” (ivi, p. 1663), ma aprono anche un varco in una concezione strettamente determinista della biologia dello sviluppo, che vorrebbe vedere in alcuni tessuti e organi (ad esempio quelli del sistema nervoso) l”™esito di un processo di rigida e irreversibile segregazione di cellule embrionali multipotenti. Evan Y. Snyder e Angelo L. Vescovi, in un recentissimo contributo apparso su Nature Biotechnology (agosto 2000, 18: 827-828), hanno messo in evidenza che “la plasticití  intra-germinale, attraverso la quale le cellule staminali danno origine a derivati dello stesso foglietto germinale (ad esempio, le cellule staminali mesenchimali generano la cartilagine, l”™osso e gli adipociti; le cellule del midollo osseo vanno incontro a differenziazione miogenica, e viceversa) í¨ certamente importante. Ma ancora pií¹ impressionante í¨ la possibilití  di una transdifferenziazione inter-germinale (ad esempio, cellule staminali neurali, che derivano dall”™ectoderma, a dare cellule ematopoietiche, le quali sono di origine mesodermica; cellule dello stroma del midollo osseo, di derivazione mesodermica, a produrre epatociti, di origine endodermica, e cellule gliali, di origine neuroectodermica” (p. 827). Queste preziose considerazioni in ordine alla filosofia della biologia dello sviluppo, che in apparenza possono sembrare di rilevanza solo teorica, “avranno una ricaduta pratica che riguarda l”™ingegneria tessutale da cellule staminali, in quanto gli organi potrebbero essere “ri-creati” [in laboratorio] basandosi sui processi di sviluppo” (ivi) naturali. Sebbene i due autori non ritengano che al presente le cellule staminali adulte possano sostituire quelle embrionali nelle ricerche di base ed applicative, essi tuttavia riconoscono che “la recente ondata di studi suggerisce gradi insospettabili di plasticití , certamente in grado di stimolare esperimenti sino a tre anni fa inimmaginabili” (ivi, p. 828).

Anche gli studiosi statunitensi chiamati ad elaborare il rapporto della National Bioethics Advisory Commission (Issues in Human Stem Cells, Rockville, Md., 1999) hanno sottolineato le potenzialití  replicative e differenziative delle cellule staminali dell”™adulto, “se esposte a un ambiente esterno favorevole. E”™ chiaro ““ conclude il rapporto ““ che ulteriori ricerche devono essere condotte in questo campo” (vol. 1, p. 13). Le ricerche sono orientate a identificare le condizioni nelle quali le cellule staminali isolate da tessuti di adulto possono crescere numericamente e sono poi indotte a differenziarsi. Tra le condizioni in grado di indurre la differenziazione sembrano importanti un ambiente subottimale di coltura in vitro, che limiti il rinnovamento delle cellule staminali (una volta raggiunta l”™espansione desiderata della loro linea) senza perí² provocarne la morte; l”™addizione di fattori di crescita, quali le proteine delle famiglie TGF-b e Wnt, le citochine e le chemochine; alcuni ormoni (ad esempio l”™insulina) e altre sostanze, come il desametasone e l”™indometacina; e l”™espressione indotta di alcuni geni, come il c-myc.

In conclusione, si puí² ricordare il principale vantaggio che le cellule staminali adulte presentano sotto il profilo sperimentale e clinico. Come ha fatto notare l”™ematologa Catherine Verfaillie (University of Minnesota, Minneapolis) ““ che ha recentemente isolato dal midollo osseo di bambini e adulti cellule staminali “quasi identiche a quelle embrionali” nella loro capacití  di dare origine a differenti tipi cellulari (cit. in: G. Vogel, Science 2000, 287: 1419) ““ le cellule staminali provenienti da tessuti di adulti sono pií¹ facili e sicure da manipolare e innestare, poiché non tendono a differenziarsi spontaneamente e incontrollatamente come quelle embrionali, che potrebbero anche sviluppare in vivo dei teratomi (focolai tumorali costituiti da cellule eterogenee). Non cosí¬ si comportano le cellule adulte, che si differenziano solo “se indotte a farlo” (ivi). D”™altra parte, esse “sembrano perdere la loro capacití  di dividersi e differenziarsi dopo un certo periodo di tempo in coltura” (ivi), e questo potrebbe rappresentare una limitazione alla produzione di linee cellulari staminali perenni, le sole adatte ad essere commercializzate su vasta scala per scopi di ricerca e applicativi. Inconveniente, questo, assai meno rilevante qualora si debba procedere a un trapianto autologo oppure da singolo a singolo, dovendosi in questo caso procedere di volta in volta ad un isolamento e ad una differenziazione in vitro delle cellule mirati e contenuti.  

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Evidenziata ““ in virtí¹ dell”™attuale stato dell”™arte nel campo delle cellule staminali ““ la plausibilití  biologica di una via alternativa all”™impiego di embrioni umani per scopi di ricerca, e documentato un significativo consenso sulle possibilití  di sviluppo offerte dalle cellule prelevate da organismi adulti (non senza un supplemento di indagine conoscitiva e di esperienza da acquisire, dalle quali non sarebbe peraltro esente neppure il progetto sulle cellule embrionali), resta da accertare l”™effettiva reperibilití  di idonee cellule staminali nel corpo degli stessi pazienti o di donatori. Il realismo delle strada indicata dal Magistero, la cui ragionevolezza scientifica ed etica appare evidente per quanto sopra esposto, richiede infatti la disponibilití  di quantití  adeguate del materiale biologico necessario alla conduzione delle ricerche e alla sperimentazione delle terapie.

Originalmente identificate ed isolate nel sistema ematopoietico del midollo osseo, responsabile della produzione della parte corpuscolata del sangue, alcune cellule aventi caratteristiche proprie delle cellule staminali sono state localizzate anche in altri organi, nei quali contribuiscono alla rigenerazione dei tessuti in condizioni fisiologiche o a seguito di insulti lesivi di varia natura. Oltre al midollo osseo, particolarmente ricchi di cellule staminali sono i tessuti epiteliali (nel corpo dell”™adulto, circa il 60% dei tipi di tessuti differenziati sono epiteliali), ma anche organi a capacití  rigenerativa e turnover cellulare molto limitato, come il cervello e il fegato, contengono cellule staminali in quantití  apprezzabili. Di particolare rilievo, a motivo delle malattie neurodegenerative candidate a beneficiare di innesti di tessuto, sono le cellule staminali neurali (NSC). Alcuni loro cloni, stabili e capaci di autorinnovarsi, sono stati isolati dal telencefalo fetale umano (J. D. Flax et al., Nature Biotechnology 1998, 16: 1033-1039), e banche di queste cellule fetali sono state istituite in diversi paesi, tra i quali gli Stati Uniti, la Svezia e l”™Italia. Ma l”™esiguo numero di cellule staminali neurali cosí¬ disponibili, e ancor prima la grave questione morale della provenienza e utilizzo di materiale biologico di origine abortiva, fanno guardare con maggior interesse a fonti alternative. La loro esistenza í¨ ben documentata dal recente studio di Neeta Singh Roy et al. (Nature Medicine 2000, 6: 271-277), che hanno isolato cellule progenitrici dei neuroni, capaci di proliferare e differenziarsi in vitro, dal tessuto cerebrale di adulti sottoposti a lobectomia temporale per alleviare una epilessia farmacologicamente intrattabile. Il giro dentato dell”™ippocampo non í¨ la sola regione ad essere interessata: lo stesso gruppo di ricerca ha anche identificato i precursori degli oligodendrociti (uno dei tre tipi principali di cellule del sistema nervoso centrale) nella materia bianca subcorticale del cervello umano adulto (Journal of Neurosciences 1999, 19: 9986-9995). Passando ad altri organi, í¨ da segnalare la confermata presenza nell”™adulto di cellule staminali pancreatiche in grado di dare origine a isole del Langherans insulino-secernenti (V. R. Ramiya et al., Nature Medicine 2000, 6: 278-282). E”™ inoltre una fonte preziosa di cellule staminali multipotenti il sangue ancora presente nel cordone ombelicale al momento del parto, e sistemi di raccolta e crioconservazione di questo materiale ““ facilmente e non invasivamente reperibile ““ sono stati attivati in diversi paesi. Le possibilití  di impiego delle linee cellulari del sangue della vena ombelicale, espanse in vitro, per trapianti autologhi o allogenici sono molto promettenti (S. J. Fasouliotis e J. G. Schenker, European Journal of Obstetrics, Gynecology and Reproductive Biology 2000, 90: 13-25).

La speranza di poter disporre di un congruo numero di cellule umane multipotenti di tipo staminale ““ sia per gli studi preliminari volti a meglio caratterizzare queste linee cellulari in vitro e a saggiarne la potenzialití  epigenetica rispetto ai fenotipi richiesti dal trattamento di alcune patologie, sia per l”™avvio di una fase clinica di ricerca che preveda l”™innesto di tessuti da esse derivati per differenziazione e crescita cellulare ““ vede nelle parole del Santo Padre l”™indicazione pienamente ragionevole di una via alternativa alla manipolazione e distruzione di embrioni umani, e realisticamente percorribile sulla base dello stato attuale delle conoscenze scientifiche nel campo delle cellule staminali. I tempi e le risorse necessari al raggiungimento dello scopo non sono prevedibili, cosí¬ come non lo sarebbero nel caso della ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma non vi sono al presente ragioni per affermare che i risultati clinici ottenibili sarebbero inferiori a quelli attesi dai chirurghi e dai pazienti sulla base delle note proprietí  delle cellule staminali.

 

II – Aspetti antropologici e morali 

  La ricerca nel campo delle cellule staminali non solo rappresenta una feconda e promettente area di sviluppo della chirurgia dei trapianti di tessuto, “una grande conquista della scienza a servizio dell”™uomo” e “uno strumento prezioso nel raggiungimento della prima finalití  dell”™arte medica, il servizio alla vita umana”, ma, “come accade in ogni conquista umana, anche questo settore della scienza medica, mentre offre speranze di salute e di vita a tanti, non manca di presentare alcuni punti critici, che richiedono di essere esaminati alla luce di una attenta riflessione antropologica ed etica”. (Giovanni Paolo II, discorso al XVIII International Congress of the Transplantation Society, 29 agosto 2000; in: L”™Osservatore Romano, 30.08.2000, p. 5)

Sotto il profilo antropologico, tre appaiono essere le questioni sottese al dibattito in corso sull”™estensione all”™uomo degli studi sulle cellule staminali e sulle loro potenzialití  terapeutiche. La prima, e pií¹ radicale, riguarda la domanda sull”™uomo in quanto soggetto (malato) da curare, ma anche, e allo stesso tempo, oggetto (biologico) di ricerca scientifica, diagnosi e terapia. Essa rappresenta un caso particolare della domanda antropologica per eccellenza, che riecheggia sinteticamente e persuasivamente nelle parole del salmista: “Che cosa í¨ l”™uomo perché te ne ricordi, il figlio dell”™uomo perché te ne curi?” (Sal. 8, 5). Come ha richiamato lo stesso Santo Padre in altra circostanza, per prendersi cura dell”™uomo, “occorre anzitutto partire da una visione integrale del suo essere, cioí¨ da una antropologia nella quale egli venga considerato per quello che í¨ realmente, cioí¨ come creatura di Dio, fatta a sua immagine e somiglianza, come essere capace di conoscere l”™invisibile, teso verso l”™assoluto di Dio, fatto per amare, chiamato ad un destino eterno”. (Ai partecipanti al Colloquio della Fondazione Internazionale “Nova Spes”, 9 novembre 1987; in: L”™Osservatore Romano, 9-10.11.1987, p. 5). Nella drammatica tensione tra la propria finitudine ““ che nella malattia, e in particolare quella degenerativa e mortale, emerge in forma pií¹ pungente ““ e la propria costitutiva vocazione alla perfezione totale (cf. Evangelium vitae, 34-37), si consuma l”™esistenza terrena dell”™uomo e sgorga il suo grido di salvezza, che in alcune circostanze della vita viene raccolto dalla medicina attraverso quello pií¹ palese di salute. La domanda di salute infatti non puí² mai essere disgiunta dalla invocazione della salvezza (cf. A. Scola, Salute e salvezza: un centro di gravití  per la medicina, ed. Cantagalli, 1999). Sia nel caso si pervenga ad una risoluzione del quadro patologico che í¨ alla base della sofferenza fisica e spirituale del paziente, sia quando cií² non sia tecnicamente possibile o moralmente ammissibile, la salvezza dell”™uomo nella sua unitotalití  (corpore et anima unus) non coincide con la ritrovata salute, né la sua eventuale perdizione con il persistere della malattia o con il sopraggiungere della morte. A fronte della prospettiva biologica di disporre di numerose linee cellulari cosiddette “immortali”, che potrebbero un giorno rappresentare una fonte autologa o eterologa pressoché inesauribile di “tessuti di ricambio” per il corpo umano, occorre affermare con decisione la non riducibilití  della dimensione di eternití  dell”™uomo alla possibilití  di una autoreplicazione indefinita delle sue cellule (o di quelle di un donatore), e la non identificabilití  della salvezza personale con il raggiungimento di tale obiettivo salutista. In questa luce appare ultimamente non contraddittoria con la verití  dell”™uomo ed il suo destino trascendente (cf. Evangelium vitae 38) anche l”™eventuale prospettiva di una limitazione della disponibilití  di cellule staminali umane in conseguenza del rispetto dovuto alla vita e alla dignití  dell”™embrione umano, o, pií¹ verosimilmente, quella di una attesa maggiore per la conquista dello stesso obiettivo terapeutico attraverso vie alternative che coinvolgono le cellule staminali adulte. Liberando medici e pazienti dalla deriva utopica di una perfezione biologica che elimini la finitezza dell”™uomo, e quindi la malattia e la morte, la concezione sopra evocata incoraggia i primi nella ricerca di strategie terapeutiche pií¹ adeguate e corrispondenti al bene integrale della persona del paziente, e consente a quest”™ultimo, nella sua lotta contro la malattia, di cercare un senso anche per la sofferenza presente e di sostenere una speranza per la propria vita che non censura la domanda di salvezza contenuta in quella di salute.

La seconda questione riguarda il significato e il valore della attivití  di ricerca scientifica che oggi, pií¹ che in altre epoche, tanto impegna uomini e mezzi in ogni parte del mondo. I passi della scienza, ed in modo emblematico quelli della biologia e della medicina, che pií¹ direttamente concernono la vita umana, sono guidati da uno scopo e mossi secondo un metodo che richiedono di essere attentamente considerati e valutati. La rivendicazione di una libertí  senza limiti per gli obiettivi della ricerca e i mezzi adottati per conseguirli lascia trasparire un”™idea di scienza come fine a sé stessa, esercizio ideale di conoscenza teorica (o pratica) autoreferenziale o strumento di un avanzamento tecnologico indipendente dalla esigenza di un autentico progresso umano. Al contrario, “la scienza in generale, e la scienza medica in particolare, í¨ giustificata e diventa uno strumento di progresso, liberazione e felicití  solo nella misura in cui serve il benessere integrale dell”™uomo” (Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Congresso di Neuropsichiatria, 12 aprile 1986; in: L”™Osservatore Romano, 13.04.1986, p. 5). La coscienza di questo compito, che rende nobile la scienza e grande la statura umana dei suoi cultori, implica la consapevolezza di un limite non certo alla creativití  del lavoro o all”™orizzonte dell”™indagine, ma agli strumenti empirici adottabili in ciascuna ricerca nonché alla scelta del metodo da seguire nelle indagini. Il bene integrale dell”™uomo richiede, infatti, il riconoscimento di una “umanití “ che non puí² essere ferita o calpestata nel percorso stesso di una ricerca, e non solo nelle successive eventuali applicazioni dei risultati conseguiti. Nella conoscenza scientifica, non meno che in quella ordinaria, il metodo í¨ dettato dall”™oggetto dell”™indagine, sicché non í¨ corretto usare lo stesso metodo per ogni caso. Questo limite “oggettivo” del percorso conoscitivo impone che lo studio delle cellule staminali umane non possa essere condotto con gli stessi procedimenti adottati per le cellule staminali di altri animali, ad esempio isolandole da embrioni viventi sviluppati in laboratorio. La specifica di “umano” í¨ sostanziale e non accidentale, ed impone un mutamento irrinunciabile di metodo nell”™approccio scientifico all”™oggetto/soggetto “uomo”, ad ogni singolo uomo e a tutti gli uomini sin dal loro venire all”™esistenza.

Affiora qui la terza vexata quaestio antropologica della ricerca sulle cellule staminali: l”™identití  e lo status ontologico dell”™embrione umano, che rappresentano il nodo cruciale anche di non poche questioni inerenti la ricerca biomedica contemporanea. Il rispetto incondizionato dovuto all”™embrione umano ““ che esclude la sua generazione in vitro, manipolazione o distruzione per qualsivoglia fine ““ trova consistenza nel riconoscimento della piena umanití  del concepito a partire dal processo della fecondazione. L”™affermazione si fonda su una corretta interpretazione del dato biologico sullo sviluppo embrionale (coordinato, continuo e graduale), cui il Magistero ha fatto riferimento in diversi documenti (De abortu procurato, III; Donum vitae, I, 1; Evangelium vitae, 60), e su una concezione sostanziale della persona umana, che la rende coestensiva all”™essere umano: “Come un individuo umano non sarebbe una persona umana?” (Evangelium vitae, 60). Pur non entrando nel merito della ampia discussione biologica e filosofica che la domanda abbraccia, servirí  ricordare che le argomentazioni contro l”™individualití  e la piena umanití  dell”™embrione, riesumante pubblicamente in occasione del dibattito sulle cellule staminali, non sono affatto originali, né apportano una significativa novití  metodologica o documentativa. La costruzione di una distinzione concettuale, avente pretesa di referenza empirica, tra struttura biologica pre-organismica o pre-embrionale (fino allo stadio di blastocisti) e organismo embrionale vero e proprio (dopo l”™impianto, a partire dal quattordicesimo giorno di sviluppo) risulta arbitraria, sia sotto il profilo delle proprietí  che identificano il processo biologico in questione, sia in relazione alla stadiazione convenzionale di tipo morfologico-temporale del medesimo, e come tale non í¨ decisiva in ordine alla definizione dello statuto ontologico dell”™embrione all”™inizio del suo sviluppo. Cosí¬ come non appare pertinente per l”™esserci della persona umana la condizione, posta da alcuni, della presenza di un abbozzo del sistema nervoso centrale o dell”™inizio dell”™attivití  neurofisiologica: l”™uomo í¨ persona in quanto unití  sostanziale di anima e corpo, e l”™assenza di strutture o funzioni (facoltí  non ancora in atto, a motivo dello stadio precoce di sviluppo) non nega l”™esistenza del referente ontologico, la cui natura razionale ne assicura la vita umana personale anche in assenza di manifestazioni empiriche. Del resto, l”™embrione umano non potrebbe mai diventare ““ né per virtí¹ propria, né per quella di altri ““ cií² che gií  non fosse, e cioí¨ un uomo. 

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Come per altre questioni di etica della ricerca scientifica e della clinica medica, anche nel caso dello studio delle cellule staminali e delle loro applicazioni alla terapia dei trapianti “il criterio fondamentale di valutazione risiede nella difesa e promozione del bene integrale della persona umana, secondo la sua peculiare dignití . A tal proposito, vale la pena di ricordare che ogni intervento medico sulla persona umana í¨ sottoposto a dei limiti che non si riducono all”™eventuale impossibilití  tecnica di realizzazione, ma sono legati al rispetto della stessa natura umana intesa nel suo significato integrale: “Cií² che í¨ tecnicamente possibile, non í¨ per cií² stesso moralmente ammissibile” [Donum vitae Intr., 4]”. (Giovanni Paolo II, disc. cit., 29 agosto 2000; in: L”™Osservatore Romano, 30.08.2000, p. 1)

Tra i “sentieri che non rispettano la dignití  ed il valore della persona umana” (ivi), vi sono le procedure che implicano la manipolazione e la distruzione dell”™embrione umano a fini di ricerca o di innesto di tessuti su pazienti, e che “non sono moralmente accettabili, neanche se finalizzate ad uno scopo in sé buono” (ivi). L”™affermazione di questo principio, che equipara il concepito al gií  nato sotto il profilo della tutela della sua vita, si pone in continuití  con il precedente Magistero ordinario della Chiesa e la tradizione della teologia morale cattolica. Il primo ““ che gií  era intervenuto argomentativamente nella questione morale del feto, in relazione al suo status, con Papa Innocenzo XI (Denz.-Schí¶n., 2135) ““ in tempi pií¹ recenti e in modo pií¹ articolato ha ribadito che il nascituro, in quanto essere umano, merita un rispetto incondizionato, lo stesso che í¨ dovuto ad ogni altro uomo (Gaudium et spes, 51; De abortu procurato, III; Donum vitae, I, 1; Evangelium vitae, 60-63). Anche nel “caso della sperimentazione sugli embrioni umani, in crescente espansione nel campo della ricerca biomedica e legalmente ammessa in alcuni Stati” (Evangelium vitae, 63), vale il principio generale: “L”™uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente í¨ sempre gravemente immorale” (ivi, 57) e, seppure dovesse venire compiuta “a vantaggio di altre [creature umane], costituisce un atto assolutamente inaccettabile” (ivi, 63).

Di fronte alla prospettiva di una applicazione terapeutica delle cellule staminali prelevate da embrioni umani, generati in laboratorio per fecondazione artificiale e non pií¹ destinati allo sviluppo endouterino perché ormai da tempo crioconservati nei centri per la cura della sterilití  coniugale, anche tra i cristiani vi í¨ chi ““ pur prendendo le distanze dall”™utilitarismo e dal pragmatismo che facilmente assolvono questo tipo di intervento ““ ritiene che non si possa formulare una proibizione assoluta di tali esperimenti. Alcuni, in accordo con le teorie etiche teleologiche (proporzionalismo, consequenzialismo) e non riconoscendo nel rispetto della vita dell”™embrione umano, almeno fino ad un certo stadio di sviluppo, un valore morale fondamentale, vedono nella ricerca sulle cellule staminali embrionali una mescolanza di effetti buoni e cattivi tali da richiedere di giudicare la moralití  di questa azione in modo differenziato: la sua “bontí “ morale sulla base della positiva intenzione del ricercatore riferita alla possibile terapia di determinate malattie, e la sua “ingiustezza” in considerazione degli effetti negativi sulla vita dell”™embrione (considerata un valore di ordine “pre-morale” o fisico o ontico). Di conseguenza, pur ammettendo che la fecondazione in vitro o la clonazione, se eseguita per generare un essere umano, sia “sbagliata”, essi non giungono a valutare come moralmente “cattiva” la volontí  che consente, progetta o esegue il prelievo delle cellule staminali da embrioni umani conservati a lungo sotto azoto liquido o “donati” di recente, a questo scopo, dalle coppie che si sono sottoposte a tecniche di procreazione artificiale. E questo in considerazione sia del destino altrimenti riservato a questi embrioni (deperimento progressivo o distruzione), sia dell”™intenzione del biologo e del medico ““ ed eventualmente della coppia donatrice ““ che si volgerebbe ad un alto valore di ordine morale (la ricerca di una terapia per i pazienti) giudicato decisivo in quella circostanza.

E”™ comprensibile che siffatto ragionamento possa trovare una sua forza persuasiva, a motivo della immediata sintonia con la mentalití  scientifica e tecnica, proprio tra i ricercatori ed i medici, abituati a valutare operativamente le loro attivití  scientifiche, diagnostiche e terapeutiche sulla base del rapporto tra risultati e risorse e tra benefici ed eventi avversi; mentalití  che talora si trasmette inavvertitamente, come per osmosi, anche in coloro che si rivolgono ai centri per il trattamento della sterilití  di coppia, indotti come sono a considerare il frutto della procreazione umana pií¹ il “prodotto” di un efficace intervento biomedico che non “il termine personalissimo dell”™amorosa e paterna provvidenza di Dio” (Evangelium vitae, 61), l”™unico essere “creato da Dio per se stesso” (Gratissimam sanae, 9). Tuttavia anche la pií¹ scrupolosa ponderazione degli effetti buoni o cattivi prevedibili in conseguenza di un”™azione non í¨ un metodo adeguato per giudicare la qualití  morale di una scelta eticamente rilevante quale í¨ quella di intervenire su una vita umana. Né basta la buona intenzione, in quanto “la moralití  dell”™atto umano dipende anzitutto e fondamentalmente dall”™oggetto ragionevolmente scelto dalla volontí  deliberata” (Veritatis splendor 78), ossia se questo í¨ ordinabile al bene e al fine ultimo che í¨ Dio. La stessa ragione attesta che tra gli oggetti delle azioni umane che “si configurano come “non ordinabili””™ a Dio perché contraddicono radicalmente il bene della persona fatta a Sua immagine” (ivi 80) vi í¨ tutto cií² che í¨ contro la vita umana stessa, come la soppressione, la violazione dell”™integrití  e l”™offesa della dignití  di un essere umano dal suo concepimento alla morte naturale.

La generazione per clonazione di un embrione umano al fine di utilizzarlo come fonte di cellule staminali da destinarsi alla coltura e alla differenziazione, e successivamente all”™innesto nel corpo dei pazienti che hanno fornito il nucleo delle loro cellule somatiche per la clonazione medesima í¨ un”™azione indegna della persona umana perché si oppone al suo bene, e nessuna intenzione buona o circostanza particolare í¨ capace di cancellarne la malizia. Non puí² dunque essere oggetto di un atto positivo di volontí  anche se nell”™intento di salvaguardare o promuovere un importante bene individuale quale í¨ la salute. 

 

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Tessuti o organi vitali singoli da destinarsi al trapianto “non possono essere prelevati che ex cadavere, cioí¨ dal corpo di un individuo certamente morto”. Questo principio, ricordato dal Santo Padre a proposito dei trapianti “classici” da adulto ad adulto (disc. cit., 29 agosto 2000; in: L”™Osservatore Romano, 30.08.2000, p. 5), ha valore anche nel caso del prelievo di cellule di tipo staminale per il medesimo scopo. Qualora comportasse un danno grave all”™integrití  dell”™organismo o addirittura la sua morte (quest”™ultimo í¨ il caso degli embrioni allo stadio di blastocisti: la asportazione della loro massa cellulare interna li distrugge), il prelievo delle cellule staminali deve essere effettuato solo da embrioni o feti sicuramente morti. Il ricorso a donatori adulti (in essi il numero di queste cellule í¨ generalmente cosí¬ elevato da consentire una loro asportazione parziale) í¨ consentito e auspicabile, sempre che questo non esponga ad eccessivi rischi il volontario, che deve avere espresso “in modo cosciente e libero il suo consenso” (ivi) a questo intervento. Se il ricorso a tessuti prelevati da embrioni o feti derivanti da aborti spontanei, atteso il rispetto dovuto al piccolo cadavere, non solleva obiezioni, problemi di cooperatio materialis ad malum da parte di chi raccoglie, conserva e mette a disposizione il materiale biologico possono crearsi qualora si tratti di corpi provenienti da aborti procurati, anche a prescindere dalla condivisione, formale o meno, dell”™intenzione abortiva moralmente illecita. E questo in misura maggiore nel caso sussista una collaborazione stabile e preordinata tra le due équipe mediche o le istituzioni nelle quali esse operano. La cooperazione materiale prossima si configura invece come presente qualora linee cellulari staminali o differenziate, ottenute da embrioni umani manipolati e distrutti a tal fine, vengano distribuite commercialmente e utilizzate per ricerche o applicazioni cliniche (cf. Pontificia Accademia pro Vita, Dichiarazione su “La produzione e l”™uso scientifico e terapeutico delle cellule staminali embrionali umane”, L”™Osservatore Romano, 25.08.2000, p. 6). Pur non sussistendo alcuna complicití  con il fatto delittuoso della distruzione volontaria di embrioni umani, gií  compiuta da terzi, l”™impiego di linee cellulari embrionali da essi prodotte dovrebbe venire attentamente considerato anche sotto il profilo della ratio scandali, cioí¨ dell”™apparenza di approvazione di un tale procedimento, che potrebbe indurre costoro alla prosecuzione dell”™atto gravemente illecito ed altri a trattare l”™embrione, in circostanze analoghe o dissimili, non secondo la sua dignití  pienamente umana. Tale questione risulta di notevole rilevo quando coinvolge ospedali e universití  cattoliche o persone che rivestono posizioni di responsabilití  in associazioni cattoliche. Nel precisare che, considerate le difficoltí  della materia, l”™applicazione di questo principio ai casi concreti sottosta al giudizio della prudenza, occorre non dimenticare che per tutti si impone, invece, il “grave e preciso obbligo di opporsi” alle leggi ingiuste contro la vita umana embrionale “mediante obiezione di coscienza” (Evangelium vitae, 73), qualora prevedano da parte di ricercatori e operatori sanitari il compimento di atti gravemente immorali o la collaborazione ad essi.

Poche questioni scientifiche e morali, come quella della ricerca sulle cellule staminali umane affrontata da Giovanni Paolo II ““ insieme ad altre non meno importanti ““ nel suo discorso al congresso sulla chirurgia dei trapianti, risultano cosí¬ esemplari nel mostrare la piena ragionevolezza dello sguardo cattolico sull”™esercizio della medicina, lo scopo della ricerca scientifica e la difesa della dignití  dell”™essere umano sin dal suo concepimento. L”™impresa umana affascinante e provvidenziale della ricerca biomedica sulle malattie metaboliche, ereditarie, degenerative e oncologiche ““ per le quali si apre la prospettiva dei trapianti di tessuto da cellule staminali ““ riceve da questo sguardo nuova luce e impulso; il che non censura l”™impeto dello studioso nel conoscere la realtí , né quello del medico nello scoprire e combattere la malattia, e del paziente nell”™affrontare la sofferenza e lottare per la vita, ma orienta le migliori energie della ragione e dello spirito verso soluzioni pienamenti corrispondenti al bene integrale dell”™uomo e, allo stesso tempo, scientificamente e clinicamente convenienti.

Da parte di molti studiosi e medici, questa ragionevolezza e convenienza í¨ stata percepita come una naturale corrispondenza alle esigenze della coscienza e della professionalití : la verití  intera sulla vita umana ed il suo valore, che Cristo rivela pienamente ai suoi discepoli attraverso l”™incontro con Lui e la Chiesa ripropone fedelmente nell”™insegnamento dei suoi Pastori, non í¨ impervia alla ragione dell”™uomo, ma la esalta, rendendola pií¹ lucida e forte: “Il Vangelo della vita non í¨ esclusivamente per i credenti: í¨ per tutti. La questione della vita e della sua difesa e promozione non í¨ prerogativa dei soli cristiani. Anche se dalla fede riceve luce e forza straordinarie, essa appartiene ad ogni coscienza umana che aspira alla verití  ed í¨ attenta e pensosa per le sorti dell”™umanití “. (Evangelium vitae, 101) Roberto Colombo

(articolo pubblicato in due parti sull’Osservatore Romano del 11-12/9/2000, p.10  e del 16/9/2000, p.9  )

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