Il 9 ottobre 1997 nella nota e autorevole rivista medica The New England Journal of Medicine appariva un articolo[1] nel quale, con un sottinteso ma trasparente senso di vittoria, veniva presentata una nuova via di controllo delle nascite. Iniziava così: “Le gravidanze indesiderate sono comuni; ogni anno in tutto il …
Il 9 ottobre 1997 nella nota e autorevole rivista medica The New England Journal of Medicine appariva un articolo[1] nel quale, con un sottinteso ma trasparente senso di vittoria, veniva presentata una nuova via di controllo delle nascite. Iniziava così: “Le gravidanze indesiderate sono comuni; ogni anno in tutto il mondo circa 50 milioni sono interrotte. E’ stato calcolato che l’uso diffuso della contraccezione d’emergenza negli Stati Uniti potrebbe prevenire oltre un milione di aborti e 2 milioni di gravidanze non desiderate che terminano nella nascita di un bambino”. Era dato l’annuncio della contraccezione chimica d’emergenza, indicata nei casi di rapporto sessuale non protetto e definitivamente approvata negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration (FDA) nel febbraio 1997. Ma era anche l’annuncio di un passo falso di una Medicina disorientata, seguito presto da un’altro più drammatico ancora.
La contraccezione chimica d’ emergenza
Con questa espressione – in se stessa, come si vedrà, non corretta e di più ingannatrice – si intende indicare un trattamento farmacologico capace di impedire l’impianto in utero di un embrione di circa cinque-sette giorni.
Il procedimento. Due sono i metodi più studiati ed elaborati.
Il metodo Yuzpe, derivato dal nome di uno dei ricercatori[2], era inteso a impedire l’impianto in utero dell’embrione, che aveva già raggiunto lo stadio di blastociste e terminato il suo laborioso cammino nella tuba. Consisteva nel somministrare entro 72 ore dal rapporto non protetto una combinazione di contraccettivi orali artificiali: precisamente, 100 µg di etinilestradiolo e 0,5 mg di levonorgestrel; somministrazione che doveva essere ripetuta nelle stesse dosi 12 ore dopo la prima.
Il metodo progestinico, introdotto nel 1973[3] e diffuso verso la fine degli anni novanta, consiste invece nella somministrazione – tra le 48-72 ore dal rapporto non protetto – di una dose di 750 µg di levonorgestrel, seguita da una identica dose dello stesso farmaco 12 ore dopo.
Le ricerche[4] avevano in seguito dimostrato che questi trattamenti, alterando i livelli corretti di estrogeni e di progesterone naturali elaborati dall’ovaio, provocano una desincronizzazione nell’accrescimento dell’endometrio uterino che rende così impossibile l’annidamento dell’embrione e ne causa la morte, seguita dalla sua espulsione Giustamente J. Wilks[5], tenendo presente come operano questi metodi a livello molecolare, concludeva la sua minuziosa analisi affermando che “di fatto questo trattamento farmacologico non può essere classificato come un anticoncezionale. E’ un abortivo preimpianto”.
Era emersa, tuttavia, una differenza di efficacia tra i due metodi. Una Taskforce[6] aveva
raccolto in 21 città di 14 nazioni, i dati ottenuti su un campione di 1955 donne sane, con mestruazioni regolari e che non usavano contraccettivi ormonali, le quali avevano richiesto una contraccezione di emergenza dopo un rapporto non protetto. Di queste, 976 avevano ricevuto il trattamento con solo levonorgestrel e 979 il trattamento Yuzpe. I tassi di gravidanza calcolati furono rispettivamente di 1,1% nel primo gruppo (11/976) e di 3,2% (31/979) nel secondo gruppo. Ma era anche emerso molto chiaramente[7] che il regime levonorgestrel impediva lo sviluppo dell’85% delle gravidanze iniziate, mentre il regime Yuzpe ne impediva lo sviluppo soltanto del 57%. Sulla base di questi dati era evidente la conclusione che il trattamento progestinico era meglio tollerato e più efficiente del metodo Yuzpe.
In definitiva, un recentissimo più informato e dettagliato lavoro[8], nel quale viene esaminata la più ampia e recente letteratura in merito, concludeva: “I dati oggi sono altamente consistenti con l’ipotesi che i contraccettivi d’emergenza ormonali hanno un effetto post-fertilizzazione sull’endometrio” e “sostengono la posizione che l’uso della contraccezione d’emergenza non sempre inibisce l’ovulazione anche se usata in fase preovulatoria, e può alterare sfavorevolmente la struttura endometriale, indipendentemente da quando essa viene usata nel ciclo, e con un effetto che dura per giorni”. In realtà, l’annidamento dell’embrione è un processo che coinvolge una serie notevole di fattori geneticamente controllati, i quali devono operare sincronicamente tra la blastociste e l’endometrio uterino in un colloquio crociato. Tra i più importanti ricordiamo alcune proteine: la l-selectina[9], le integrine[10], e i fattori d’impianto[11]. E’ sufficiente l’assenza o l’inattività di uno solo di questi fattori perché il regolare processo si arresti.
Ad ogni modo, il processo di annidamento è un capitolo in pieno sviluppo che, a un rigoroso esame scientifico, dimostra già l‘esistenza di un vero e intenso colloquio a livello genetico tra la creaturina, «figlio» che ha già il suo nome dal momento della fusione dei gameti, e la madre nel periodo più delicato e importante della nuova vita. E’ l’interruzione di questo colloquio che ne causa la morte.
Prima ancora che laFDA, negli Stati Uniti, avesse approvato l’introduzione dei nuovi farmaci per la contraccezione d’emergenza, erano stati fatti enormi sforzi dal febbraio 1996 per informarne professionisti e pubblico attraverso una «24-hour telephone hot line» in inglese e spagnolo[12]; informazione presto estesa attraverso siti Internet. Tra le tante affermazioni contenute in un programma educativo diffuso dal Office of Population Research dell’Università di Princeton[13], è tipica, anche se impensabile, la seguente. Alla domanda: “L’uso della contraccezione d’emergenza causa un aborto?”, rispondeva: “No, l’uso della contraccezione d’emergenza non causa un aborto. Infatti la contraccezione di emergenza previene la gravidanza e perciò riduce la necessità di indurre l’aborto. La scienza medica definisce l’inizio della gravidanza come l’impianto di un uovo fertilizzato nell’endometrio dell’utero di una donna. L’impianto inizia da cinque a sette giorni dopo la fertilizzazione (e si completa alcuni giorni più tardi). I contraccettivi di emergenza operano prima dell’impianto e non dopo che una donna è già gravida. Quando una donna è già gravida la contraccezione d’emergenza non agisce. La contraccezione d’emergenza è pure innocua al feto e alla madre”.
Ci troviamo di fronte, in realtà, a una chiara falsificazione dei dati biologici e ad una astuta manipolazione del linguaggio.
Falsificazione e manipolazione suggerite da studiosi e medici. La già citata A.Glasier, del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Edingburgh, conclude il suo lavoro con questa tipica sentenza, diventata ormai obsoleta: “La prevenzione della gravidanza prima dell’impianto è contraccezione e non aborto. L’intervento entro 72 ore dal rapporto non può essere considerato aborto perché l’impianto non può avvenire fino ad almeno sette giorni dall’ovulazione, e l’uovo è capace di essere fertilizzato solo per un periodo di circa 24 ore”[14]. Anzi, D.E. Grimes insiste: “Anche se la contraccezione di emergenza operasse soltanto prevenendo l’impianto di uno zigote, non sarebbe abortivo. La gravidanza incomincia con l’impianto, non alla fertilizzazione. […] Ogni metodo di regolazione della fertilità che agisce prima dell’impianto non è un abortivo”[15].
Falsificazione e manipolazione sostenute dalla pressione politica. In un Editoriale della nota rivista Science del 2 luglio 2004[16], Adrienne Germain, presidente della New York-based International Women’s Health Coalition, in seguito a una decisione presa dalla FDA per impedire la libera vendita del farmaco per la contraccezione d’emergenza, insisteva: “L’impatto positivo del farmaco è enorme. Esso permette alle donne di evitare gravidanze indesiderate e riduce così la domanda di aborto.[…] Pochi potrebbero negare che è necessario diminuire il numero delle nascite e gravidanze non volute tra i teenagers.[…] Delle 900.000 U.S. teenagers che diventano gravide ogni anno, 8 su 10 affermano che la loro gravidanza non è voluta.[…] Come nazione parliamo molto di compassione, ma la politica degli U.S. sta ponendo a rischio la vite di giovani donne perseguendo strategie sanitarie concepite da ideologi che ignorano le realtà sociali e le migliori pratiche mediche”.
Si può chiedere, a questo punto, se tutte le affermazioni sopra riportate – sia quelle fatte a livello informativo ed educativo, sia quelle proposte a livello scientifico e sociologico – corrispondano a verità, o non rappresentino invece un linguaggio contraffatto per mascherare e nascondere la verità. In realtà, si è giunti oggi a mimetizzare, cioè a nascondere e a negare, la verità dell’embrione umano prima dell’impianto – e anche più in là – riducendolo a un cumulo di cellule disorganizzato; o a un prezioso strumento tecnologico usufruibile pur di averlo nelle mani e poterlo trattare come l’embrione di un topino o di un animale da esperimento; o a un prodotto pseudo-terapeutico vendibile o eliminabile. Soltanto in questa falsa prospettiva l’«Uomo-embrione» poteva diventare il bersaglio della cosiddetta contraccezione di emergenza. E lo è diventato! Ma nella verità oggettiva, che afferma la presenza reale del neo-concepito durante tutta la fase pre-impianto, l’aggressione dell’embrione assume il carattere di uccisione intenzionale di un reale soggetto umano.
La ricerca di nuove vie non poteva mancare anche in questo campo, ormai legalizzato, della libertà di decisione sulla vita di un figlio non desiderato. Intorno al 1970 sembrava giunto il tempo di abbandonare – o almeno ridurre – lo spazio dell’aborto chirurgico per passare al così detto “aborto chimico” o “aborto farmacologico” o “aborto medico”.
Le ricerche avevano portato intorno al 1972 alla sperimentazione di questo nuovo procedimento utilizzando le prostaglandine[17]. Ma negli anni ’80 si era riusciti ad individuare una via preferenziale: bloccare i recettori del progesterone, l’ormone che – prodotto dal corpo luteo presente nell’ovaio – ha un ruolo centrale nell’avvio e nella prosecuzione della gravidanza, soprattutto nei primi due mesi. La inattivazione di questi recettori, scoperti già dal 1970[18] negli organi bersaglio, in particolare nell’utero, avrebbe offerto la via migliore per indurre l’aborto, perché il progesterone – in assenza dei relativi recettori – non avrebbe più potuto compiere la sua funzione. Preparato allora dal laboratorio francese Roussel-Uclaf l’antiprogestinico RU486, denominato mifepristone, nel 1985 E.E. Baulieu[19] comunicava i risultati con quello ottenuti: in realtà, apparve il farmaco preferenziale per attuare l’«aborto chimico». Sotto la sua azione l’endometrio uterino, dove deve essere accolto l’embrione al sesto o settimo giorno dal concepimento, viene seriamente danneggiato, accompagnato da sfaldamento e sanguinamento fino al distacco dell’embrione stesso il quale, in seguito alla produzione di prostaglandine che stimolano le contrazioni del miometrio, viene espulso. Risultati che furono presto confermati[20].
Oggi, nella prassi medica, il protocollo essenziale nel periodo dei primi 50 giorni di gravidanza richiede[21]: 1) il primo giorno, la somministrazione di una singola dose di 600 mg di mifepristone; dose che, secondo recentissimi dati[22], potrebbe essere ridotta a 10 o 50 mg con gli stessi risultati; 2) il terzo giorno, visita del medico per accertare se è avvenuto o no l’aborto – che nel 2 – 5% dei casi si verifica – mediante esame ecografico e/o clinico; e, se non è avvenuto, si somministra una singola dose di 400 µg di misoprostolo (una prostaglandina), seguita da monitoraggio per almeno 4 ore; 3) il 14.mo giorno dalla somministrazione del misoprostolo, una visita clinica ed ecografia per l’accertamento dell’avvenuto aborto. La frequenza attesa di aborto è di circa il 97%. Nell’8,1% dei casi, pur avendo raggiunto l’effetto abortivo non si ha l’espulsione dell’embrione, che deve perciò essere estratto chirurgicamente. Per i restanti non abortiti, circa il 3.0%, dato che si possono incontrare anomalie morfologiche incompatibili con la vita a causa soprattutto degli effetti teratogeni del misoprostolo, viene raccomandato vivamente un aborto chirurgico.
La pratica dell’aborto medico si è ormai diffuso ampiamente: dal 1988 in Francia; dal 1991 in Inghilterra; dal 1992 in Svezia; dal 1999, in Israele, Russia e Svizzera e, da parte della European Drug Agency in Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Olanda e Spagna; dal 2000 negli Stati Uniti. In Italia, dove la legge non si è ancora pronunciata in merito, sono ben note le recenti forti pressioni da parte di varie Aziende Ospedaliere per l’autorizzazione alla sperimentazione di questa nuova pratica abortiva.
L’esperienza e i risultati di ormai circa venti anni di applicazione di questo procedimento di interruzione volontaria della gravidanza esigono una riflessione sia dal punto di vista medico, sia dal punto di vista della donna incinta.
Sotto l’aspetto medico hanno particolare rilievo le frequenti complicazioni associate a non leggeri e non infrequenti rischi, che lasciano serie perplessità sulla validità e sicurezza delle tecniche adottate. Meritano un particolare rilievo i risultati di un’ampia e sistematica analisi compiuta negli Stati Uniti[23] sulla mortalità, stati patologici ed altri eventi particolarmente significativi seguiti all’uso del mifepristone nei casi di aborto medico, raccolti nella espressione generale di Adverse Event Reports (AER) ed esaminati secondo rigorosi criteri della Food and Drug Administration (FDA), l’autorità più alta in merito negli Stati Uniti. Su 607 casi raccolti ed esaminati in 4 anni sono stati registrati: 1) 8 casi (1,3%) deceduti di cui 5 Americani; 2) 237 (39,0%) casi di emorragia, di cui: 1 fatale, 42 (9,5%) gravissime con pericolo di vita, 168 (70,8%) molto serie, di cui 68 hanno richiesto trasfusioni; 3) 66 casi (10.9%) con gravi infezioni, di cui 3 fatali, 4 con rischio di vita, e 43 hanno richiesto anticorpi per via parenterale; 4) 17 casi (2,8%) con gravidanze ectopiche. Inoltre sono stati necessari 513 interventi chirurgici, di cui 235 di emergenza. Va ricordato inoltre che 40% delle pazienti furono ospedalizzate per interventi, 12 delle quali in terapia intensiva.
Il lavoro concludeva: “Sebbene né i produttori né la FDA conoscono il nesso causale tra l’uso del mifepristone e gli eventi riportati, è innegabile che queste donne erano sane prima dell’uso del mifepristone e divennero malate o morirono poco dopo l’uso. Prima di usare un medicamento un prudente operatore ne pesa accuratamente i rischi e i potenziali benefici.[…] La scelta del mifepristone rispetto alla chirurgia è basato principalmente sulla percezione della sicurezza, convenienza e privatezza; ma queste percezioni non riflettono accuratamente la realtà dell’intervento”. Osservazione pienamente confermata dagli studi di B. Winikoff [24] e col. su 2121 donne. Di queste: il 67,6% aveva abortito in clinica, il 21,9% in casa, l’1,2% sulla strada o per la clinica, il 3.7% altrove; inoltre 48,6% avevano affermato che l’esperienza era stata diversa da quella attesa e, per il 34.5% peggiore di quella sperata.
Dati tutti e osservazioni che implicano la responsabilità etica e anche legale degli operatori sanitari e dei legislatori.
Per quanto riguarda la donna, un recente studio psicologico[25] su 200 gestanti che avevano scelto liberamente l’aborto chirurgico o l’aborto medico ha messo in evidenza che le ragioni della scelta di quello medico erano soprattutto il timore della chirurgia, l’anestesia e eventuali difficoltà di fertilità nel futuro, e che coloro che avevano fatto questa scelta nel periodo precedente l’esecuzione avevano livelli più elevati di sintomi ossessivi di colpa e disturbi paranoidi rispetto a quante avevano scelto l’aborto chirurgico.D’altra parte è ben noto
da tempo che l’aborto induce nella donna un forte stress emotivo[26], i cui sintomi si trascinano spesso per anni, accompagnati talvolta anche da uso eccessivo di «sostanze d’abuso»[27] e anche da suicidio[28], la cui frequenza supera significativamente la media tra le donne.
Le brevi informazioni essenziali fin qui riferite su due nuovi procedimenti di interruzione della gravidanza avevano la sola intenzione di esporne gli aspetti biomedici oggettivi e rilevarne alcune ripercussioni sociali. Ora, nel pieno rispetto di quanti sono interessati e impegnati in queste tecnologie sotto gli aspetti medici, giuridici, legali e sociali, è doverosa una riflessione etica, espressione della nostra mente alla quale spetta analizzare se il comportamento offerto da questi procedimenti è da ritenere buono o no, giusto o no, lecito o no. Quattro aspetti meritano particolare considerazione.
1. L’embrione umano: chi è? Sulla base dei numerosissimi dati oggi disponibili[29] si deve ritenere che l’embrione a una cellula (one-cell embryo), detto anche zigote, derivante dalla fusione dei gameti – ovocita e spermatozoo – è un reale individuo umano, che porta in sé tutte le potenzialità del proprio sviluppo. L’eminente embriologo S.F.Gilbert nel secondo capitolo di un suo recentissimo volume[30] – straordinario per il contenuto ed equilibrio – dopo aver riportato le diverse opinioni sul quando incomincia la vita di un soggetto umano (when does human life begin) sottolinea che tutte possono essere “utili per contemplare ciò che è la vita umana” e per “trovare una risposta soddisfacente ciascuno per se stesso”. Ma suggerisce anche – pur senza entrare in merito – che il costante crescere dell’informazione “può permettere una integrazione di conoscenza e di esperienza”. In realtà, ad una serena e rigorosa analisi con i dati oggi disponibili appare evidente che l’embrione umano, sin dallo stato di zigote è un individuo della specie umana, che ha quindi la natura umana ed è destinato – poste le condizioni necessarie e sufficienti – a svilupparsi secondo il suo proprio piano-programma scritto nel suo genoma. Basta questo destino per doverne rispettare lo sviluppo. Qualunque atto che potesse impedirlo è un atto contro la sua esistenza, a cui ha diritto.
Anzi, un’accurata analisi a livello filosofico, porta a concludere che già da quel momento è «persona». Scrive S.J. Heany[31]: “Dal momento della fertilizzazione, un concepito unicellulare con lo specifico genotipo umano […] è materia molto ben disposta ad essere il soggetto proprio di un’anima spirituale […] di essere cioè materia per cui tale anima è forma sostanziale”. Affermazione che era già stata accennata con particolare forza dalla Congregazione per la Dottrina della Fede[32]: “Certamente nessun dato sperimentale può essere per sé sufficiente a far riconoscere un’anima spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza sull’embrione umano forniscono un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona? Il Magistero non si è espressamente impegnato su un’affermazione d’indole filosofica, ma ribadisce in maniera costante la condanna morale di qualsiasi aborto procurato. Questo insegnamento non è mutato ed è immutabile”.
2. La relazione embrione-madre: paritaria o no? E’ oggi fuori discussione che è una relazione tra due soggetti a doppio senso fin dal primo momento della fusione dei gameti. In un recente volume degli Annals of the New York Academy of Sciences, parlando del dialogo
madre-embrione, J.H. Hill[33] afferma: “La comunicazione non è a una via, ma è piuttosto un colloquio incrociato (cross-talk) che avviene quando proteine materne sono secrete nel microambiente dell’ovidotto e dell’utero, facilitando in tal modo la fecondazione e lo sviluppo iniziale dell’embrione”. La madre è così condotta a riconoscere la presenza di questa individualità, cioè la realtà del soggetto, che rende possibile la loro relazione interpersonale. Sarebbe assurdo pensare che sia il libero «riconoscimento» di questo soggetto da parte della madre a conferire il valore umano all’embrione e lo renda «individuo». Relazione interpersonale, che diventa sempre più intensa e complessa; ma si trasformerebbe in sopraffazione e delitto qualora la madre volesse interromperla rifiutando il suo figlio.
3. L’aborto. E’ l’interruzione spontanea o intenzionale della vita di un soggetto umano nel periodo della gravidanza. L’aborto intenzionale – nelle condizioni di salute normale della donna – qualunque sia l’età del concepito e qualunque sia la ragione per cui lo si compie è sempre un atto grave di omicidio, anche quando fosse consentito dalla legge. Anzi, anche se rimanesse un dubbio che, per un dato periodo dal concepimento, l’embrione non sia ancora una «persona», c’è l’obbligo di astenersi da ogni atto di carattere soppressivo. Secondo la norma morale l’astensione è doverosa non soltanto quando un atto è sicuramente male, ma anche quando è solo probabile che possa essere male.
4. L’obiezione di coscienza. E’ da riconoscere che la legge 194/1978, con la quale è stato legalizzato l’aborto volontario, non lo giustificava negando l’autonoma individualità del concepito quanto piuttosto con altre ragioni, quali in particolare la lotta contro l’aborto clandestino e la difficoltà ad influire sulla volontà della donna decisa ad abortire. Ragioni che hanno condotto la Corte Costituzionale ad ammettere la liceità dell’aborto come stato di necessità e non come esercizio di un diritto di scelta della donna, e ad esigere come filtro un colloquio preventivo e dissuasivo, il rilascio di un documento e un’attesa di sette giorni. E’ evidente allora che l’assunzione libera dei prodotti per l’aborto chimico e tanto più per la contraccezione è in contrasto con lo spirito della legge 194/78.
La stessa legge non poteva non riconoscere l’esigenza di salvaguardare la libertà di coscienza del medico, in una situazione così delicata che intacca il principio ippocratico alla base di tutta la condotta medica: «non nuocere». Perciò all’articolo 9 ha disciplinato l’obiezione di coscienza all’aborto[34], sulla base di due principi: uno oggettivo, il rispetto della vita umana, da iscriversi tra i diritti inviolabili; l’altro soggettivo, il riconoscimento del diritto dell’obiettore a vedere tutelata la coscienza personale. Obiezione di coscienza chiaramente estendibile tanto alla contraccezione di emergenza quanto all’aborto chimico.
Sono questi i principi essenziali offerti da un’etica razionale che riflette sulla reale natura del concepito e sulle sue relazioni con la madre, e sulla posizione del medico nella situazione di una decisa volontà abortiva inderogabile da parte della madre.
Un richiamo di Giovanni Paolo II
Di fronte a questa situazione di una società che, nel cosiddetto «Primo Mondo», sta dissolvendosi nonostante tutte le apparenze di grande prosperità, si è alzata la voce autorevole del Sommo Pontefice, Giovanni Paolo II, al quale era stata affidata da Dio la guida del popolo cristiano. Popolo sparso in tutto il mondo che, in gran parte, si è lasciato trascinare nel vortice generato da una mentalità di autogestione della propria vita secondo criteri di assoluta licenza morale in vista del massimo benessere; criteri proposti e intensamente diffusi attraverso i mezzi di comunicazione di massa. A questo popolo Egli rivolgeva le Sue autorevoli parole, particolarmente forti, nel 1995 attraverso la Enciclica «Evangelium Vitae»[35].
La prima: “Ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la «cultura della morte» e la «cultura della vita». Ci troviamo non solo «di fronte» ma necessariamente «in mezzo» a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l’ineludibile responsabilità di scegliere incondizionamente a favore della vita” (n.28). Si sente in queste espressioni il dolore e l’angoscia per l’attuale situazione.
La seconda: “Di fronte alle innumerevoli e gravi minacce alla vita presenti nel mondo contemporaneo, si potrebbe rimanere come sopraffatti dal senso di un’impotenza insuperabile: il bene non potrà mai avere la forza di vincere il male!” (n.29). E insiste: “E’ certamente enorme la sproporzione che esiste tra i mezzi, numerosi e potenti, di cui sono dotate le forze operanti a sostegno della «cultura della morte» e quelli di cui dispongono i promotori di una «cultura della vita e dell’amore». Ma noi sappiamo di poter confidare sull’aiuto di Dio, al quale nulla è impossibile” (n.100). E’sottolineata qui la posizione di fiducia, di coraggio e di speranza che il cristiano deve mantenere.
La terza: “Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell’uomo; nuova, perché fatta propria con più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti” (n.95). E’ un forte stimolo all’azione.
Si deve riconoscere che le grandi aspettative, che i progressi della scienza, della tecnologia e della medicina sembravano aver aperto nel campo tanto importante del dono della vita, stanno trasformandosi in una grave offesa e una seria minaccia per la società. Offesa e minaccia a cui si cerca di far fronte con leggi e regole nelle quali gli aspetti etici sono in gran parte elusi se non calpestati. La ragione ultima di ciò è evidente: nel sistema scientifico-tecnologico che domina oggi non è soltanto cambiato, ma è caduto il valore di una costante indispensabile per l’equilibrio di tutto il sistema, la costante «Uomo». Riconoscere il suo vero valore e, di conseguenza, la sua dignità e i suoi diritti è, dunque, urgente.
Il valore di questa costante la scienza, la tecnologia e la medicina non lo possono calcolare né stimare con le proprie metodologie. E’ allora necessario che lo scienziato, il tecnologo e il medico, i quali hanno oggi un forte potere sull’orientamento e sull’attuazione dello sviluppo sociale, pur conservando scienza, medicina e tecnologia ciascuna le proprie prerogative, non restino chiuse nel loro sistema assiomatico riduttivo, ma si aprano agli stimoli di un sistema «sapienziale», che riflette un pensiero e una luce che vengono dal profondo di noi stessi criticamente interrogato. Soltanto da questa interrogazione si potrà derivare il valore della costante «Uomo» e, per conseguenza, ritrovare il senso dei limiti e dedurne le responsabilità nei suoi riguardi. E’ l’«Uomo» nella sua realtà integrale a dettare, dalla sua interiorità stessa, la norma del suo agire, base di ogni comportamento responsabile. Si richiede soltanto l’impegno di leggerla e la volontà di non rifiutarla. Soltanto da questa trasformazione del sistema scientifico-tecnico-medico chiuso, attualmente dominante, in un sistema aperto, dove all’«Uomo» sia riconosciuto il suo vero valore e, di conseguenza, la sua dignità e i suoi diritti, ma anche i suoi doveri e le sue responsabilità, la scienza, la medicina e la società tutta potranno ritrovare la via giusta.
In questo sistema aperto apparirà evidente che la procreazione umana non deve ledere il diritto alla vita del concepito. Giovanni Paolo II[36], lo esprimeva con particolare forza nella lettera Apostolica «Novo Millennio Ineunte»: “Il servizio all’uomo ci impone di gridare, opportunamente e importunamene, che quanti si avvalgono delle nuove potenzialità della scienza, specie sul terreno delle biotecnologie, non possono mai disattendere le esigenze fondamentali dell’etica, appellandosi magari ad una discutibile solidarietà, che finisce di discriminare tra vita e vita, in spregio della dignità propria di ogni essere umano”.
[1] A. GLASIER, «Emergency postcoital contraception», in The New England Journal of Medicine 1997, vol. 337, pp. 1058-1064, p.1058.
[2] A.A. YUZPE, W.J. LANCEE, «Ethinylestradiol and dl-norgestrel as a postcoital contraceptive», in Fertility and Sterility 1977, vol 28, pp. 931-936; A.A. YUZPE, R.P. SMITH, A. W. RADEMAKER, «A multicenter clinical investigation employing ethinyl estradiol combined with dl-norgestrel as postcoital contraceptive agent», in Fertility and Sterility 1982, vol. 37, pp. 508-513.
[3] E.KESSERU, A.LARRANAGA, J.PARADA, «Postcoital contraception with D-Norgestrel», in Contraception 1973, vol. 7, pp. 367-379.
[4] S. ROWLANDS, A. A. KUBBA, J. GUILLEBAUD, W. BOUNDS, «A possibile mechanism of danazol and ethinyl estradiol/norgestrel combination used as postcoital contraceptive agents», in Contraception 1986, vol.33, pp. 539-545; A.W. HORNE, J.O. WHITE, E.N. LALANI, «The endometrium and embryo implantation», in British Medical Journal 2000, vol. 321, pp. 1301-1302; M.L. DI PIETRO, R. MINACORI, «La contraccezione d’emergenza», in Medicina e Morale 2001, n. 1, pp. 11-39.
[5] J. WILKS, «Contracepción preimplantatoria y de emergencia», in CONSEJO PONTIFICIO PARA LA FAMILIA, Lexicón, Ediciones Palabra, Madrid, 2004, pp. 153-169, p.163 (corsivo nostro).
[6] TASK FORCE ON POSTOVULATORY METHODS OF FERTILITY REGULATION, «Randomised controlled trial of levonorgestrel versus the Yuzpe regimen of combined oral contraceptives for emergency contraception», in Lancet 1998, vol. 352, pp. 428-433.
[7] A.J. WILCOX, C.R. WEINBERG, D.D. BAIRD, «Timing of sexual intercourse in relation to ovulation. Effects on the probability of conception, survival of the pregnancy, and sex of the baby», in New England Journal of Medicine 1995, vol. 333, pp. 1517-1521.
[8] C. KAHLENBORN, J.B. STANFORD, W.L. LARIMORE, «Postfertilization effect of hormonal emergency contraception», in The Annals of Pharmacotherapy 2002, vol. 36, pp. 465-470 (corsivo nostro).
[9] O.D. GENBACEV, A. PRAKOBPHOL, R.A. FOULK et al., «Trophoblast L-Selectin mediated adhesion at the maternal-fetal interface», in Science 2003, vol. 299, pp. 405-407.
10 B. A. LESSEY, A.J. CASTELBAUM, C.A. BUCK et al., «Further characterization of endometrial integrins during the menstrual cycle and in pregnancy», in Fertility and Sterility 1994, vol. 62, pp. 497-506.
11A.W. HORNE, J.O. WHITE, E.N. LALANI, «The endometrium and embryo implantation», in British Medical Journal, 2000, vol. 321, pp. 1301-1302.
[12] D.E. GRIMES, «Emergency contraception – expanding opportunities for primary prevention», in New England Journal of Medicine 1997, vol. 337, pp. 1078-1079.
[13] «Not-2-Late.com» – The emergency contraceptive Website, http://ec.princeton. edu/ (corsivo nostro).
[14] A. GLASIER, «Emergency postcoital contraception», cit., p.1063 (corsivo nostro).
[15] D.E. GRIMES, «Emergency contraception», cit., p.1078 (corsivo nostro).
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